Piccola guida per capire che cos’è l’articolo 18 (e come si potrebbe seriamente riformarlo)
Hypercorsivo di Massimo Donelli
In queste giornate di grande baruffa sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratoriCollegamento esterno mi sono trovato, come tanti italiani, in una dimensione di totale disorientamento.
Il clima avvelenato, lo scontro verbale violento, le argomentazioni ideologiche hanno soffocato ogni spazio di spiegazione limpida, ragionamento pacato, dialettica costruttiva.
Come capirci qualcosa?
Ho pensato di rivolgermi a un caro amico avvocato del lavoro, un giuslavorista, come si usa dire, che conosce molto bene la materia e altrettanto bene la sa illustrare.
Si chiama Cosimo Francioso, ha 62 anni, è pugliese, ha studiato a Milano, è cassazionista, ha creato LegalilavoroCollegamento esterno, un network nazionale di assistenza ai lavoratori dipendenti, è stato tra i fondatori dell’AgiCollegamento esterno (Associazione giuslavoristi italiani), è molto ascoltato nel mondo sindacale e giuridico italiano. Anche perché dice sempre ciò che pensa. E questo lo ha reso, nel tempo, autorevole e rispettato.
Riporto qui di seguito, in 20 punti, la sintesi del suo pensiero, sperando che possa essere utile ad altri come lo è stato a me per capire il senso vero di quanto sta accadendo.
Lo faccio – tengo a sottolinearlo – nello spirito antico e presente di Radio Monteceneri, uno spazio libero di riflessione, una voce sempre fuori dai cori.
Ecco, quindi, il Francioso-pensiero, da me sintetizzato (con tutti i conseguenti pregi e difetti della sintesi).
1. Il contratto ha forza di legge tra le parti (regola aurea del codice civile, valida per tutti i contratti).
2. Anche quello di lavoro è un contratto.
3. La forma comune del contratto di lavoro, in Italia e in Europa, è, per legge vigente, quello a tempo indeterminato.
4. Il contratto a tempo determinato è, quindi, l’eccezione. E come tale va tenuta sotto controllo, perché può prestarsi ad un uso elusivo della regola (il contratto a tempo indeterminato), dato che senza un limite tutti potrebbero assumere tutti solo a termine (anche un mese alla volta, all’infinito).
5. Ma un contratto a tempo indeterminato non può trasformarsi in un vincolo indissolubile. E, quindi, c’è la necessità di prevedere in quali casi il datore di lavoro può provocarne la fine immediata, tramite il licenziamento.
6. Il licenziamento, in Italia, è sempre possibile quando c’è una ragione vera, seria (e verificabile da parte di un terzo, giudice o arbitro che sia). Altrimenti esso è illegittimo.
7. Se il licenziamento è illegittimo si pone il problema di quale sia la sanzione: solo risarcitoria o anche reintegratoria?
8. In tutti i contratti – tutti – la regola del codice civile italiano è la seguente: la parte che subisce l’inadempimento dell’altra parte può agire in giudizio per chiedere o l’adempimento o la risoluzione, fermo restando il risarcimento dei danni subìti. La regola generale, dunque, è quella del danno che si aggiunge (e non sostituisce) al possibile ripristino dell’adempimento.
9. L’articolo 18, nato nel 1970 con lo Statuto dei lavoratori, non ha fatto altro che estendere espressamente anche al contratto di lavoro questa regola generale, peraltro solo per le imprese con personale occupato superiore ad un certo numero, quindi con esclusione delle piccole imprese, mantenendo per queste ultime solo il risarcimento danni o la riammissione in servizio, a scelta del (“piccolo”) datore di lavoro.
10. Dopo la Riforma ForneroCollegamento esterno del 2012, però, non ogni licenziamento illegittimo porta oggi alla reintegrazione, che scatta solo in casi di particolare gravità della ingiustificatezza. Il tutto secondo la valutazione del giudice, che può limitarsi a sanzionare l’illegittimità con una somma compresa tra 12 e 24 mensilità.
11. Di fatto, se prima del 2012 le reintegrazioni effettive erano già rare, perché le cause di licenziamento venivano conciliate in gran numero con somme di denaro, dopo il 2012 sono diventate rarissime.
12. Sia prima che dopo la Riforma Fornero del 2012, anche dopo la sentenza di reintegrazione in servizio il lavoratore può optare per una indennità sostitutiva (della reintegrazione) pari a 15 mensilità.
13. Ma allora, perché un fenomeno così scarsamente significativo sul piano dei numeri dovrebbe riportare al centro dell’azione riformatrice del governo proprio l’articolo 18, nonostante il rischio della protesta di piazza?
14. Perché, evidentemente, lo scopo è un altro. Ed è quello di realizzare l’eguaglianza attraverso la precarietà generalizzata (tutti precari/tutti eguali), scopo funzionale ad una economia nazionale finalmente competitiva.
15. Naturalmente, la competitività dei tedeschi, per esempio, si basa invece sull’eccellenza del prodotto. E la reintegrazione o meno in servizio viene ancora decisa dal giudice. Mentre quella dei cinesi si basa soprattutto sullo schiavismo di ritorno, con scarse probabilità di trovare qualcosa di simile all’articolo 18…
16. L’articolo 18 non serve, in realtà, per essere reintegrati, come dicono chiaramente le statistiche; ma serve per rendere possibile la tutela di tutti gli altri diritti sul posto di lavoro. E serve anche per rendere possibile in azienda la presenza di un sindacato, che altrimenti ben difficilmente potrebbe sopravvivere: chi mai farebbe il sindacalista potendo essere licenziato senza possibilità di reintegrazione?
17. Ne consegue che se si può abolire l’articolo 18 allora si può abolire anche il sindacato, in barba alla civiltà dei moderni e delle loro costituzioni.
18. Quindi? Se la discussione fosse veramente di merito e non ideologica, anche l’articolo 18 potrebbe essere seriamente riformato, ma senza queste assurde ricadute. Basterebbe, per esempio, stabilire per legge che, così come il lavoratore può già ora optare per le 15 mensilità in luogo della reintegrazione, anche il datore di lavoro possa farlo, ma offrendo un risarcimento più alto (per dire, 30 mensilità) e prevedendo che in caso di mancata adesione a questa offerta, il lavoratore abbia l’obbligo di sottoporre ad un giudice o a un arbitro la decisone sulla compatibilità o meno della reintegrazione in quella data azienda e in quel determinato momento.
19. Si può fare la riforma dell’articolo 18, dunque, ma senza che il datore di lavoro di imprese non piccole (dove ben altre sono le dinamiche) abbia in anticipo la certezza assoluta che quel tal lavoratore potrà essere cacciato liberamente.
20. Le ragioni dell’impresa sono decisive, quelle della dignità del lavoro non sono irrilevanti, Costituzione alla mano. Ci vorrebbe, perciò, una buona conciliazione tra questi parimenti legittimi interessi. Ma per una buona conciliazione ci vorrebbe una buona Politica.
Questo è il pensiero del mio amico avvocato.
Se non altro, ha il pregio della chiarezza, no?
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