Quando la Germania crea squilibri globali
di Alessia Amighini e Andrea Goldstein
Con il suo avanzo delle partite correnti, la Germania è oggi il maggior responsabile degli squilibri finanziari globali. Imprese e famiglie risparmiano e non fanno gli investimenti che contribuirebbero alla crescita europea. Il confronto con la Cina e l’importanza delle filiere internazionali.
Avanzo eccessivo in Germania
A Bratislava, Matteo Renzi ha fatto riferimento all’avanzo sbagliato – quello commerciale – al posto di quello giusto – le partite correnti – ma ha messo il dito in una vera piaga, l’eccessivo avanzo della Germania. Il presidente del Consiglio avrebbe anche potuto calcare la mano, sottolineando che dal 2008 tutti gli altri paesi del G20 che deviavano troppo dall’equilibrio, in un senso o nell’altro, hanno fatto sforzi considerevoli. Gli Stati Uniti hanno ridotto il disavanzo corrente dal 5 per cento del Pil prima della crisi a meno del 3 per cento nel 2015, mentre la Cina ha diminuito il suo avanzo dal 9,3 per cento nel 2008 al 2,7 per cento nel 2015. La Germania fa appunto eccezione: oggi è il maggior responsabile degli squilibri finanziari globali, con un avanzo da 274 miliardi di dollari, di gran lunga superiore a quello di Pechino (220 miliardi), che aveva detenuto il primato negli anni precedenti e la cui economia è molto più grande di quella tedesca.
Anche se gli squilibri delle partite correnti, di qualunque segno, sono inferiori ai livelli pre-crisi, ridurli ulteriormente è importante per la stabilità finanziaria internazionale, ma soprattutto per rinvigorire la crescita. Se infatti l’origine dell’avanzo della Germania sta nella forte competitività delle sue esportazioni (di per sé tutt’altro che controproducente, soprattutto per l’area euro, le cui filiere sono tutte trainate da quelle tedesche), la contropartita è un eccesso di risparmio rispetto all’investimento.
Scomponendo l’avanzo per origine dei flussi tra le diverse componenti, è evidente che gran parte dell’aumento è dovuto alle famiglie tedesche, per il 4,9 per cento del Pil (anche per i forti aumenti salariali reali). Ma il risparmio netto delle imprese è raddoppiato in due soli anni, dall’1,7 per cento del Pil nel 2013 al 3,5 per cento del Pil nel 2015. Vale a dire, i crescenti profitti dovuti al calo del prezzo delle materie prime e al credito a buon mercato non si sono tradotti in maggiori investimenti, aumentati di un modesto 0,5 per cento sul Pil. Per contribuire alla crescita europea, i tedeschi devono investire molto di più. Secondo le stime di Deutsche Bank, da qui al 2020 l’avanzo si ridurrà del 20 per cento (al 7 per cento del Pil, quindi sempre a livelli molto alti), soprattutto per effetto dell’immigrazione – che riduce il tasso di risparmio aggregato delle famiglie, spinge verso l’alto i prezzi degli immobili e aumenta la propensione all’import.
Confronto con la Cina
Come ha fatto la Cina a rientrare da un avanzo corrente superiore al 9 per cento del Pil nel 2008? Soprattutto grazie all’aumento della propensione a importare da parte di una classe media sempre più benestante e desiderosa di consumare beni esteri, in particolare di consumo durevole. In termini di origine dei flussi, per la Cina non sono disponibili tutti i dati necessari per scomporre l’eccesso di risparmio con lo stesso dettaglio possibile per la Germania. Nondimeno si può vedere chiaramente come la riduzione dell’avanzo sia corrisposta a un minor eccesso di risparmio privato sugli investimenti (mentre il risparmio pubblico, negativo, è rimasto intorno al 3 per cento del Pil). A sua volta, la riduzione dell’eccesso di risparmio privato è il risultato dell’aumento dell’investimento, che a partire dal 2009 ha raggiunto il 45 per cento del Pil. Solo in parte ha contribuito la moderazione del risparmio privato, sceso di un punto percentuale rispetto al 2008.
Figura 1
Figura 2
Nei prossimi anni, secondo l’Asian Development Bank, la Cina diventerà un importatore netto di beni alimentari, a causa della crescita demografica e del contenuto calorico. Nel medio-lungo termine (dal 2030), quindi, il suo avanzo corrente (dovuto in massima parte all’avanzo commerciale) è destinato a diminuire ulteriormente.
Competitività e filiere internazionali
Ma c’è anche un ulteriore aspetto strutturale dietro le dinamiche dei saldi correnti. Secondo Johannes Brumm, Georgios Georgiadis, Johannes Gräb e Fabian Trottner (http://cepr.org/sites/default/files/(TROTTNER)_GVC_Participation_and_CA_Imbalances.pdf), l’aumento degli squilibri è in parte dovuto alla partecipazione delle imprese alle filiere internazionali. Quanto maggiore è il valore aggiunto estero nelle esportazioni di un paese, tanto maggiore sembra essere la percentuale di reddito d’impresa risparmiato. Infatti, quando le imprese sono competitive perché incorporano molti input importati in ciò che esportano, ritengono ‘temporaneo’ il guadagno di efficienza e pertanto accantonano gran parte dei profitti per motivi di tipo precauzionale. Viceversa, una buona competitività dell’export raggiunta prevalentemente con produzione nazionale, come nel caso cinese, è ritenuta più duratura.
Deutsche Bank stima che in Germania un aumento del 10 per cento del valore aggiunto estero nelle esportazioni nazionali si traduce in un aumento dell’avanzo corrente dello 0,9 per cento. Se la percentuale di valore aggiunto estero nelle esportazioni tedesche continuerà ad aumentare come negli ultimi dieci anni – dal 14,8 al 25,5 per cento – la Germania si troverà sempre di più nel cuore degli squilibri globali, soprattutto perché in Cina, al contrario, aumenterà il valore aggiunto nazionale nel proprio export, già passato dal 65 per cento al 70 per cento nell’ultimo decennio.
Figura 3
Fonte: Brumm J., Georgiadis G., Gräb J. and Trottner F. “Global Value Chain Participation and Current Account Imbalances”. 12th CompNet Conference. Prague 21-22 April 2016.
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