TTIP, le vere questioni da porsi
di Giuseppe De Arcangelis, Lavoce.info
Durante l’ultima settimana l’interesse per la politica commerciale ha superato il dibattito senza fine euro sì-euro no. La visita di Obama in Europa, le rivelazioni di Greanpeace e le dichiarazioni di Hollande hanno trovato ampio spazio sulla stampa.
Come al solito, però, a fare notizia sono le divisioni, i contrasti e i disaccordi, anche quando questi sono ben noti. Sinceramente, si fa fatica a capire dove sia la notizia, se non quella di approfondire le divisioni con fini di politica interna.
Così negli USA il destino del Partenariato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) è rimandato alla prossima amministrazione. Dal lato europeo Hollande e vari rappresentanti del governo francese di fatto propongono la chiusura dei negoziati per eccessiva distanza tra le posizioni, ma è innegabile che si tratti di una mossa per inseguire le posizioni protezioniste della destra di Marie LePen, piuttosto che contrastarle su un campo diverso (magari più progressista…).
Da questa sponda dell’Atlantico può essere utile guardare al TTIP in un contesto internazionale più ampio tenendo uno sguardo al futuro, forse oltre il TTIP, ma ciò richiede una riflessione sulla dimensione “federale” della politica commerciale dell’UE. [1]
Sebbene tutti i candidati alla presidenza USA pongano in discussione molti dei recenti trattati commerciali, occorre ricordare che l’accordo tra le economie del Pacifico –Trans-Pacific partnership, TPP – è stato firmato a ottobre 2015 e sarà al vaglio dei Parlamenti nazionali. Certamente un passo ben più avanzato rispetto al TTIP. La particolarità del TPP è che esclude la Cina, pur includendo il Giappone e altre 10 economie asiatiche oltre agli USA.
Accostando il TTIP al TPP si nota subito che gli USA diventerebbero il pivot del commercio mondiale sia verso Est, sia verso Ovest, lasciando fuori il primo esportatore mondiale. Siamo certi che l’UE sia beneficiaria di questa nuova organizzazione del commercio mondiale? Forse le rigidità della posizione USA nei negoziati con l’UE sui vari capitoli del TTIP, che giustamente i francesi denunciano, dipendono anche dalla posizione di forza che gli USA hanno ottenuto essendosi già assicurati un accesso presso le economie più dinamiche dei prossimi decenni, ma escludendo la Cina. Vari articoli di Autor, et al. (2016)[2] hanno già messo in evidenza come dopo l’ingresso della Cina nel WTO (2001), negli USA i benefici della maggiore apertura commerciale sono stati ben poco equi-distribuiti concentrandosi soprattutto verso gli occupati più istruiti a scapito di quelli con titoli di studio inferiori. Non stupisce quindi che si voglia attuare una politica di contenimento (se non proprio di esclusione) del gigante cinese.
Un secondo aspetto riguarda la politica commerciale, ovvero forse l’unica politica “federale” in Europa, ma in un senso più ampio. La politica commerciale dell’UE risulta “federale” per tutto ciò che riguarda la determinazione dei termini degli accordi: il Commissario al Commercio Internazionale sigla gli accordi che poi devono essere ratificati da Consiglio e Parlamento Europeo. Tuttavia, alla politica commerciale non si affiancano alcuni strumenti di compensazione per coloro che sono colpiti dalla maggiore concorrenza che invece troviamo nel partner americano con il Trade-Adjustment Assistance, ovvero politiche di sostegno all’occupazione o al reddito per i possibili effetti negativi dell’apertura commerciale riconoscendo che i benefici di un commercio più libero sono molto diffusi, mentre i costi sono più concentrati.
Nel momento in cui i contrasti tra le economie europee sono così alti, è difficile immaginare misure generalizzate. Ma occorre anche riconoscere che se si vuole continuare a perseguire una politica commerciale comune, è necessario pensare a misure di compensazione per coloro che perdono dalla maggiore apertura commerciale. Questo può avvenire a livello nazionale in maniera concertata, oppure anche con un cofinanziamento comunitario. [3]
Qualora l’UE si dotasse di questo tipo di strumenti, sarebbe più facile riposizionarsi nel panorama del commercio mondiale con un ruolo più attivo verso le economie più dinamiche del pianeta. Accordi con economie emergenti implicano una concorrenza più aspra e le conseguenze su alcuni settori dell’economia nazionale possono essere particolarmente nefasti. Ma allo stesso tempo si ampliano i mercati di sbocco laddove la domanda sarà certamente meno stagnante. Senza strumenti adeguati di compensazione verso chi potrà perdere di più, queste aperture saranno certamente impossibili da immaginare e l’Europa rimarrà isolata.
Per difendere le posizioni di salvaguardia dell’ambiente e della salute dei consumatori nei negoziati con gli USA, occorre certamente essere pronti “a far saltare il tavolo”. Ma poi, per andare oltre il TTIP e pensare ad accordi con altri partner in una visione strategica più ampia, è necessario riflettere su strumenti di intervento da accostare alla politica commerciale tradizionale, come un’assistenza trade-related che sia condivisa o almeno concertata a livello europeo tra le economie nazionali.
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