Ultima chiamata per la Grecia
di Marcello Esposito (LaVoce.info)
Cosa succede se la Grecia non ripaga la prossima tranche di rimborsi all’Fmi? Si prospetta uno scenario catastrofico. Perché il Fondo ha lo status di creditore privilegiato e dichiarare default nei suoi confronti significa farlo anche verso tutti gli altri creditori, dalla Bce ai privati.
Lo status privilegiato dell’Fmi
Entro il 30 giugno la Grecia deve restituire 1,6 miliardi di euro al Fondo monetario internazionale. Questa volta Atene deve raggiungere un accordo con i creditori, altrimenti è “fuori”. Dichiarare default nei confronti dell’Fmi e continuare a rimanere nell’area euro è impossibile. Le conseguenze per la Grecia sarebbero catastrofiche.
L’Fmi gode dello status di creditore privilegiato, non è cioè mai “subordinato” rispetto ad altri investitori, siano essi soggetti privati o enti sovrani. Si tratta di una convenzione, universalmente accettata, dovuta al fatto che il Fondo interviene a supporto di un paese quando il “mercato” non è più in grado di sopportarne il rischio. I maggiori beneficiari di un tale intervento (oltre al paese in crisi) sono proprio i creditori esistenti, che, senza l’azione dell’Fmi, dovrebbero immediatamente affrontare le conseguenze di una procedura fallimentare internazionale.
Questa convenzione è stata riconosciuta anche dall’Europa. Nel trattato costitutivo dello European Stability Mechanism (EsmCollegamento esterno), le premesse numero 13 e 14 recitano che i prestiti effettuati direttamente dall’Esm e da altri soggetti sovrani sotto il suo coordinamento nei confronti di un paese in difficoltà sono da considerare “privilegiati” rispetto a tutti gli altri crediti. Ma si ribadisce che sono comunque “subordinati” rispetto ai prestiti eventualmente erogati dall’Fmi.
L’Europa riconosce, quindi, l’esistenza di una scala del privilegio creditizio che vede in cima il Fondo monetario, poi i prestiti erogati dalle varie strutture “salva-Stati” (Esm/Efsf e prestiti bilaterali) e infine gli altri creditori.
La presenza di un grado diverso di seniority tra i creditori implica che un default selettivo può colpire solo chi sta in basso nella scala del privilegio, come accaduto nel 2012 con il Private sector involvement che appunto coinvolse solo i detentori privati di titoli di Stato ellenici. Se colpisce chi sta in cima alla scala, allora coinvolge a cascata tutti i creditori perché, in virtù dei rapporti di subordinazione creditizia, chi è più senior è l’ultimo a dover subire un’eventuale perdita.
Due scenari catastrofici
Non è quindi possibile per la Grecia dichiarare default nei confronti dell’Fmi senza contemporaneamente farlo nei confronti dell’Esm/Efsf, della Bce, degli altri paesi partner che hanno erogato prestiti bilaterali e, ovviamente, di tutti i soggetti privati che detengono titoli di Stato greci. Compresi quelli emessi sotto la legge inglese: stavolta non sarebbe possibile sfuggire al default neanche a questi, come invece accadde nel 2012.
Per questo motivo, nel caso non si raggiunga un accordo entro il 30 giugno, qualcuno ha paventato la possibilità che l’Europa conceda un ultimo prestito, appena sufficiente per ripagare l’Fmi. Sarebbe in parte un atto dovuto nei confronti di una istituzione internazionale che è stata tirata dentro la crisi europea proprio in base a una promessa di seniority. E sarebbe in parte anche una mossa tattica, che consentirebbe di guadagnare un po’ di tempo per gestire meglio le incertezze tecnico-legali di una situazione senza precedenti. Ma non cambierebbe di una virgola lo stato di insolvenza del paese ellenico: tra luglio e agosto, la Grecia deve restituire 6,8 miliardi di euro alla Bce ed è ovvio che senza i 7,2 miliardi dell’ultima tranche di aiuti che i partner dovrebbero rilasciare entro il 30 giugno non c’è alcuna speranza che ciò accada.
Se non si raggiunge l’accordo con i creditori, la palese situazione di insolvenza della Grecia costringerebbe la Bce a sospendere la linea di credito d’emergenza (Ela) che in questi mesi ha consentito al sistema bancario greco di sopravvivere. E per i greci, che ancora oggi vogliono rimanere nell’euro (78 per cento secondo gli ultimi sondaggi), si prospetterebbero due scenari da incubo.
Il primo è quello dell’uscita immediata dall’euro, con il ritorno alla dracma. Sempreché sia in grado di mantenere il consenso politico interno, il governo greco dovrebbe gestire problemi tecnici e legali enormi, come la stampa di milioni di banconote, la ridenominazione di tutti i contratti in dracme, il blocco del commercio estero. Facile prevedere il collasso dell’economia greca. Lo scenario è così drammatico che si sta arrivando a ipotizzare la necessità di un prestito umanitario da parte dei partner europei per consentire il proseguimento di un minimo di welfare state ed evitare che il paese possa cadere preda del caos sociale.
Leggermente migliore il secondo scenario, in parte simile a quello verificatosi a Cipro due anni fa, cioè con la Grecia che rimane formalmente nell’Eurozona, ma in uno stato di sospensione. Ammesso e non concesso che l’Europa e l’Fmi siano disponibili ad attendere le risoluzioni del parlamento greco, di fatto la Grecia sarebbe fuori dall’euro: gli sportelli bancari e i movimenti di capitale rimarrebbero (quasi) totalmente bloccati in attesa che Atene decida se accettare o meno le condizioni di un nuovo salvataggio. Sarebbero necessarie nuove elezioni? Probabilmente sì, ma immaginare che tutto questo accada durante la stagione turistica fornisce l’idea plastica del disastro economico che attende la Grecia in caso di mancato accordo.
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