Un’idea (seria) per non dimenticare Valeria Solesin
Hypercorsivo di Massimo Donelli
Valeria SolesinCollegamento esterno, 28 anni, uccisa dai terroristiCollegamento esterno che venerdì 13 novembre hanno assaltato il BataclanCollegamento esterno di Parigi, da una settimana è sepolta nel cimitero veneziano di San MicheleCollegamento esterno.
Al funerale di StatoCollegamento esterno, martedì 24 novembre, in piazza San MarcoCollegamento esterno, tutti coloro che si sono alternati al microfono lo hanno promesso: la memoria del suo impegno – universitario, politico, sociale – non andrà smarrita.
C’è da fidarsi?
Quanto a lungo sopravvivrà nel ricordo collettivo la morte di questa brava ragazza, che ha suscitato un’ondata di commozione autentica e profonda in tutta Italia?
Si è parlato di intitolarle una borsa di studioCollegamento esterno.
E un ponte della sua cittàCollegamento esterno.
Ma può bastare?
E, soprattutto, è proprio il modo giusto per colmare il vuoto che Valeria ha lasciato in famiglia, tra gli amici, nel mondo accademico?
Non credo.
Valeria era una ricercatrice.
Laureata in sociologia a Trento, aveva ottenuto un dottoratoCollegamento esterno alla SorbonneCollegamento esterno.
Era, cioè, uno dei tanti cervelli italiani in esilio dal loro PaeseCollegamento esterno.
Tanti.
Anzi, tantissimi.
Non ci sono, infatti, solo i fisici, i chimici, i matematici, i medici, gli ingegneri.
Ci sono anche i laureati in giurisprudenza, in sociologia (appunto), in lettere classiche.
Ragazze e ragazzi di talento che fanno la valigia e vanno all’estero per realizzare un progetto di studio importante, difficile, faticosoCollegamento esterno.
Pronti a investire quattro anni della loro gioventù vivendo in condizioni precarie e affrontando un percorso che richiede grandi risorse moraliCollegamento esterno.
Passano, infatti, ore, giorni, settimane, mesi chiusi in biblioteca, stressati dalla competizione accademica ai più alti livelli.
E pagano un prezzo importante sul piano delle relazioni sociali.
Perché lo studio, solitario, arriva sempre prima del divertimento.
Sempre.
Giacchè bisogna lavorare sodo per tagliare il traguardo; dimostrare, orgogliosamente, la fondatezza della tesi che sta alla base della ricerca; dare una bella soddisfazione – come meritano – ai genitori, che fanno mille sacrifici per mantenerli a Parigi, Londra, New York.
E poi?
Torneranno?
Ma, prima di tutto, quanti sono?
Ecco il punto.
Nessuno lo sa.
Mistero assoluto.
Una sorta di gigantesco quarkCollegamento esterno nel sistema Paese.
Un buco nero sul presente e sul futuro del tutto inaccettabile.
Vogliamo onorare, davvero, la memoria di Valeria?
Forse il modo migliore per farlo è affidare al suo ateneo italiano, la prestigiosa Università degli studi di TrentoCollegamento esterno, una ricerca.
O meglio: un censimento e una ricerca.
Con che scopo?
Risolvere il mistero.
Ossia scoprire quanti sono i ricercatori italiani nel mondo; collocarli sulla carta geografica; interrogarli per capire che cosa li ha spinti ad andarsene.
Chiedendo loro di raccontare ciò che hanno trovato.
Stimolandoli a dire quali risorse, quali strumenti, quali eccellenze servirebbero per far sì che siano i cervelli degli altri a venire in Italia.
Invitandoli, infine, a dire quali condizioni si dovrebbero creare per favorire il loro ritorno.
Un lavoro gigantesco, certo.
Per il quale servono molto tempo e molti fondi.
Ma siamo sicuri che il governo italiano potrebbe investirne (il verbo non è casuale…) una parte.
Che un’altra parte potrebbe (dovrebbe…) arrivare dal mondo dell’industria e dei servizi.
E che, infine, tanti cittadini sarebbero pronti a contribuire con una donazione.
Ma a due condizioni: 1) avere la garanzia di essere trasparentemente informati sugli stati di avanzamento della ricerca; 2) poter disporre, online, di un dettagliato rendiconto finale.
Utopia?
Sogno?
Valeria studiava per costruire un mondo migliore.
Sognava, appunto.
Sognava e lavorava sodo.
Nulla vieta di imitarla.
Tutto, anzi, spinge a imitarla.
Per onorarne la memoria.
Perché il suo impegno di studio sia d’esempio ad altri.
Perché l’Italia, grazie a questa ragazza, cancelli la vergogna dei cervelli in fuga.
E si riappropri dei suoi preziosi talenti sparsi per il mondo.
Talenti che, dopo un ottimo liceo e un’ottima laurea, se ne sono dovuti andare.
E sono stati regalati – sì, regalati – ad altri Paesi, lesti e felici nell’abbracciarli.
Non basta.
L’Italia, oggi più che mai, ha bisogno di ritrovare il genio smarrito.
Chiamare a raccolta le sue teste migliori è la strada maestra.
Rispondere al buio dell’odio con la luce della ragione è il dovere.
Perché Valeria non può essere morta invano.
Lo dicono tutti, no?
Dimostriamolo, allora.
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