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La rete autostradale svizzera non sarà ampliata

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Questo tratto nei pressi di Nyon era uno di quelli che avrebbero dovuto essere portati a tre corsie. Keystone / Noemi Cinelli

L’elettorato svizzero ha respinto domenica il progetto di estensione di sei tratte della rete autostradale elvetica. Il “no” l’ha spuntata con il 52,7% dei voti.

Bisogna probabilmente risalire al 1994 per ritrovare un voto altrettanto sfavorevole al traffico su strada. All’epoca, i cittadini e le cittadine svizzere avevano accettato l’iniziativa popolare per la protezione delle regioni alpine dal traffico stradale di transito (Iniziativa delle Alpi). Un testo che ha profondamente marcato la politica dei trasporti nella Confederazione, che da allora è imperniata sul trasferimento del traffico pesante dalla strada alla ferrovia per quanto concerne i transiti attraverso l’arco alpino.

Il “no” uscito dalle urne questo fine settimana non avrà verosimilmente ricadute così importanti. Ma il segnale inviato dalla maggioranza dell’elettorato è chiaro: ampliare le autostrade, come preconizzato dal Governo e dalla maggioranza del Parlamento, non è la soluzione che la popolazione predilige per far fronte all’aumento del traffico automobilistico.

+Le reazioni del campo del “sì” e del campo del “no” nel video di SWI swissinfo.ch:

Un segnale tanto più importante in virtù dei risultati registrati nella maggior parte dei Cantoni che, secondo chi sosteneva il progetto, avrebbero dovuto trarre profitto dagli allargamenti previsti: a Ginevra il 57,1% delle persone votanti ha respinto il progetto, nel Canton Vaud il 58,6%, a Zurigo il 51,6% e a Basilea-Città il 56,4%. Solo a San Gallo vi è stata una maggioranza per sostenere il raddoppio della galleria del Rosenberg (e gli altri cinque ampliamenti previsti).

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La bocciatura del decreto federale sulla fase di potenziamento 2023 delle strade nazionali non giunge del tutto inaspettata. Dall’ultimo sondaggio era infatti emerso che l’elettorato era praticamente diviso in ugual misura tra fautori e contrari.

Si tratta comunque di una sorpresa. All’inizio della campagna, il “sì” faceva ancora corsa in testa e normalmente in Svizzera, per quanto concerne i referendum, più la votazione si avvicina e più le posizioni dell’elettorato tendono ad accostarsi a quelle del Governo. Questa volta, però, è andata inversamente.

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Ampliamento bocciato malgrado le molte ore in colonna

Nel campo dei favorevoli domina un certo sconcerto. Il ministro dei trasporti Albert Rösti ha evidenziato tre aspetti che hanno portato alla bocciatura del decreto: il fatto che per una parte della popolazione la proposta era troppo ambiziosa, il non essere riusciti a convincere chi vive lontano dalle zone interessate e la delicata situazione delle finanze federali.

“Faccio fatica a capire perché questo non sia stato capito”, ha da parte sua dichiarato il consigliere agli Stati ticinese Fabio Regazzi, copresidente del comitato a favore, riferendosi alle molte ore trascorse in colonna, che rappresentano un problema per l’economia.

Regazzi, che è anche presidente dell’Unione svizzera delle arti e dei mestieri (USAM), ha inoltre sottolineato che alcuni anni fa sarebbe stato facile vincere una votazione simile, evidenziando un “certo cambiamento” nella società e un problema di mobilitazione.

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Per il comitato a favore – composto tra gli altri dal Touring Club Svizzero e da economiesuisse – il “no” odierno “non porta a nulla”, poiché i contrari non hanno dimostrato come ridurre gli ingorghi stradali, in costante aumento. Ogni anno, l’economia svizzera perde miliardi di franchi a causa della perdita di produttività.

In una presa di posizione, l’Alleanza del centro si rammarica della bocciatura di un progetto che “avrebbe permesso di offrire alla popolazione un’infrastruttura adeguata e di aumentare la sicurezza stradale”. La decisione deve tuttavia “essere accettata” e devono essere “trovate altre soluzioni”. Anche per il Partito liberale radicale (PLR) è “essenziale rispettare questa scelta”. Secondo il PLR tocca ora alla sinistra proporre nuove soluzioni.

Per l’Unione democratica di centro, visto che i progetti autostradali non verranno realizzati, il denaro che sarebbe stato utilizzato andrebbe restituito agli automobilisti. Il partito chiede pertanto una riduzione immediata dell’imposta sugli oli minerali.

Tale eventualità è però già stata scartata dal ministro dei trasporti Albert Rösti, pure lui dell’UDC. I fondi sono necessari per realizzare i progetti decisi negli scorsi anni e contro i quali non è stato lanciato il referendum, ha precisato il consigliere federale in conferenza stampa.

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La gente vuole una mobilità diversa

Di tutt’altro tenore, naturalmente, le reazioni nel campo di chi era contrario all’estensione della rete stradale. Per il copresidente dell’Associazione traffico e ambiente (ATA), all’origine del referendum, David Raedler, si tratta di “una scelta matura” da parte della popolazione. L’ampliamento delle strade non è la soluzione, bensì aggrava il problema.

L’associazione Straffico, che assieme all’ATA aveva lanciato il referendum, afferma che la bocciatura del decreto “segna una svolta nella politica dei trasporti”. Il risultato odierno “dà al Consiglio federale e al Parlamento il mandato di sviluppare nuove soluzioni ai problemi di trasporto”.

La copresidente del Partito socialista Mattea Meyer ha da parte sua affermato di interpretare il risultato come un voto a favore di una maggiore protezione del clima. La gente vuole una mobilità diversa, non sempre più traffico e colonne.

In un comunicato, nel quale parla di “enorme vittoria”, la presidente dei Verdi Lisa Mazzone ha evidenziato come “i cittadini non si sono lasciati ingannare: si sono mobilitati contro una politica della mobilità del passato”. Per gli ecologisti “il denaro del fondo stradale non dovrebbe più essere utilizzato per costruire strade, ma per proteggere il clima”. In una nota, l’ATA ha sottolineato come “per la prima volta nella sua storia, la Svizzera ha detto ‘no’ a un’estensione delle autostrade”.

Un progetto da 5,3 miliardi di franchi

Il piano su cui era chiamato ad esprimersi la cittadinanza, previsto nell’ambito del Programma di sviluppo strategico strade nazionali 2030, contemplava l’allargamento di sei tratte autostradale lungo l’A1, l’asse principale che collega l’est all’ovest della Svizzera.

Nella Svizzera francese, la tratta Le Vengeron (Cantone Ginevra) – Coppet (Vaud) – Nyon (Vaud) sarebbe stata allargata a tre corsie in entrambe le direzioni per 19 chilometri. Nella Svizzera tedesca, i progetti concernevano la tratta di Wankdorf-Schönbühl (Berna) che sarebbe passata da tre a quattro corsie. La tratta Schönbühl-Kirchberg (Berna) sarebbe passata da due a tre, mentre le gallerie di Fäsenstaub (Sciaffusa) del Rhin (Basilea Città e Basilea Campagna) e del Rosenberg (San Gallo) sarebbero state raddoppiate.

Proposto come detto dal Governo e accettato dalla maggioranza del Parlamento, il progetto – di un costo complessivo di 5,3 miliardi di franchi – aveva per obiettivo di aumentare le capacità in questi punti, che costituiscono dei colli di bottiglia. Inoltre, si voleva evitare che in queste regioni il traffico si riversasse sulle strade cantonali e comunali.

La necessità di poter contare su infrastrutture funzionali

A far campagna in favore del “sì” sono stati soprattutto gli ambienti economici, le organizzazioni che difendono gli interessi del settore automobilistico, in particolare il Touring Club Svizzero, e i partiti di destra – Unione democratica di centro e Partito liberale radicale. Oltre agli argomenti già menzionati, è stata messa in avanti la necessità per la Svizzera di disporre di infrastrutture funzionali e affidabili per rispondere ai bisogni crescenti di mobilità e di garantire l’approvvigionamento del Paese grazie a una rete stradale adatta.

Secondo i sondaggi condotti dall’istituto gfs.bern, queste tesi hanno trovato una eco più marcata tra la popolazione maschile, che si posizione piuttosto a destra, risiede in piccole agglomerazioni e dispone di un reddito elevato.

“Stop alla follia autostradale”

Il referendum, intitolato “Stop alla follia autostradale”, era stato lanciato con successo da un’ampia alleanza guidata dall’ATA e da Straffico, sostenute dai partiti di sinistra. Il progetto – sottolineavano – è incompatibile con gli obiettivi climatici che la Confederazione si è fissata ratificando l’Accordo di Parigi. Ampliare l’offerta significa creare domanda e quindi a medio-lungo termine aumentare ulteriormente il traffico.

Inoltre, i costi di queste nuove infrastrutture sono stati definiti “esorbitanti”. Oltre ai 5,3 miliardi di franchi, si sarebbero dovute considerare anche le spese per la manutenzione futura.

Argomenti, questi, che hanno fatto breccia soprattutto tra le donne, i più giovani, le persone affiliate ai partiti di sinistra e ambientalisti e con un livello d’istruzione elevato.

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