Italofone e italofoni in Svizzera, un senso di appartenenza comune c’è anche se non è scontato
L’integrazione nella società non passa più solo dalla lingua che si parla o dall’identità nazionale. Complici le nuove tecnologie e un mondo più veloce, le nuove generazioni di cittadine e cittadini spesso sentono di appartenere a un intreccio di realtà. Un aspetto da considerare nell’ottica di salvaguardare e promuovere le lingue minoritarie in Svizzera. Ne abbiamo parlato con il coordinatore del Forum per l’italiano in Svizzera Aldo Bertagni.
In Svizzera, quando si parla di italianità, spesso ci si riferisce all’impronta lasciata dall’immigrazione italiana del passato o del presente; oppure del peso della Svizzera italiana nel resto del Paese.
Raramente però questi due mondi si uniscono mettendo l’italianità al centro di un dibattito comune. Forse perché gli interessi perseguiti tra locali e forestieri – almeno all’apparenza – sono diversi.
Eppure, l’insediamento di comunità italiane nelle varie città elvetiche potrebbe aver portato benefici anche ai e alle giovani ticinesi e grigionesi italofoni che vi si sono poi trasferiti per studiare o lavorare. La difesa e la promozione dell’italiano, in quanto lingua nazionale, all’interno delle istituzioni federali ha al contempo facilitato la vita anche alle e agli immigrati italiani.
Ma esiste un senso di appartenenza comune a svizzere e svizzeri italofoni, e a italofone e italofoni in Svizzera che hanno invece un passato migratorio? Ne abbiamo parlato con Aldo Bertagni, coordinatore del Forum per l’italiano in SvizzeraCollegamento esterno.
Tra complessità e ricchezza
“Le persone che dalla Svizzera italiana si sono trasferite Oltralpe, che magari non hanno vissuto a pieno le dinamiche dell’emigrazione integrale degli anni Sessanta e Settanta, hanno evidentemente storie diverse fra loro”, asserisce Bertagni.
“Queste vivono la propria comunità, la propria appartenenza elvetica e persino la propria identità in maniera diversa rispetto a chi ha un passato migratorio. Il che non vuol dire che non vi sia osmosi e intesa fra italofoni. Semplicemente, così come il plurilinguismo svizzero implica una certa complessità all’interno della società – pur facendo sentire le persone cittadine e cittadini svizzeri nel loro insieme –, la stessa cosa avviene anche all’interno delle varie lingue specifiche”.
>>> Per approfondire: “La maggioranza degli italofoni è Oltralpe”Collegamento esterno
Non è quindi l’essere italofoni, di per sé, ad unire o dividere la comunità italofona in Svizzera: l’elemento accomunante è la lingua (e l’accesso odierno alla letteratura, al cinema e anche ai social network lo rendono ancor più radicato), ma poi ci sono anche le storie particolari di ognuna e ognuno. “L’identità di ogni persona può essere frutto di storie molto differenti tra loro. Storie che fanno però la ricchezza di una società”.
Negli ultimi decenni, i mezzi tecnologici hanno poi avuto un ruolo importante nel facilitare la comunicazione tra le e gli italofoni in Svizzera, contribuendo a una maggiore omogeneità culturale, ma mantenendo, allo stesso tempo, le differenze legate alle peculiarità locali.
Un’identità culturale in continua evoluzione
Sia chi ha nel proprio passato storie di migrazione internazionale, sia chi pur parlando italiano è e si sente svizzero da generazioni, affronta le sfide e il retaggio dell’integrazione cercando di trovare un equilibrio tra le tradizioni e le nuove esperienze. In questo, le nuove tecnologie e la diffusione celere delle informazioni hanno avuto e hanno tuttora un ruolo determinante.
“Proprio perché abbiamo dei mezzi di comunicazione più pervasivi, è più facile diffondere i messaggi, vigilare l’applicazione delle leggi, scambiarsi opinioni. Oggi, chiunque si prodighi per una minoranza, come potrebbe essere quella linguistica, dalle colonne di un giornale, anche uno regionale, riceverà una eco molto maggiore rispetto al passato perché anche un media locale può essere postato sui social media e letto online ovunque ci si trovi”, sostiene Bertagni.
Cambiano i luoghi di incontro
L’interazione tra le diverse lingue in Svizzera è complessa, il nostro interlocutore non lo nega, con differenze regionali significative. Ma anche questo potrebbe evolvere, proprio come sta evolvendo il concetto di “spazio pubblico” nella sua accezione sociologica (teorizzato da Jürgen Habermas): il luogo di dibattito, scambio e condivisione che, dopo aver preso forma in piazze e bar, si è ora trasferito sulla Rete, diventando così accessibile in ogni luogo.
Altri sviluppi
L’italianità in Svizzera, un concetto che sfugge al rigido principio della territorialità
“La lingua è elemento di confronto e di contatto fra più individui, fra più popoli. È materia viva. Questo processo una volta era più lento nella misura in cui, non soltanto i mezzi di comunicazione, ma anche i mezzi di trasporto erano molto più impegnativi. L’italiano nel resto della Svizzera, per esempio, ha avuto un impatto maggiore con l’inaugurazione delle grosse reti di trasporto come la galleria del San Gottardo”, continua il coordinatore del Forum per l’italiano in Svizzera.
“A quel punto è diventato più facile spostarsi anche solo per viaggiare: partire, visitare, tornare; e non più solo per migrare”.
La lingua, una “materia viva”
Il fatto che la lingua sia “materia viva” è dato anche dal fatto che essa dipende fortemente dall’interazione fisica tra le persone, non solo quella online. “Lo dimostrano cartelloni culturali vivaci come quelli in rassegna in città come Zurigo, Basilea o Berna che offrono musica, film e spettacoli teatrali in diverse lingue”.
L’importanza dei mezzi di comunicazione nel processo integrativo è confermata dal peso che questi hanno avuto quando erano ben più limitati rispetto ad oggi. Negli anni Sessanta, la Svizzera come molti altri Paesi del mondo affrontava profonde trasformazioni sociali. La televisione, ai suoi esordi, ha avuto un ruolo di protagonista nell’avvicinamento culturale tra autoctoni e immigrate e immigrati.
“Pensiamo a Un’ora per voi: era un programma in cui per un’ora si parlava di migrazione e che, in realtà, oltre che dalla popolazione italiana in Svizzera, veniva seguito dalle italofone e dagli italofoni di tutto il Paese. Anche questo ha contribuito a creare un legame, un’aggregazione tra le e gli italofoni svizzeri e quelli italiani sparsi su tutto il territorio nazionale.
Il considerevole aumento della popolazione straniera, in buona parte italiana, che c’è stato negli anni Sessanta in Svizzera ha portato la società e la politica a discorsi e fenomeni di intolleranza e chiusura. Anche nel tentativo di arginare la nascita di insofferenze sociali, in quegli anni è nato il programma “Un’ora per voi”Collegamento esterno, andato in onda per la prima volta nel maggio del 1964.
Pensato e costruito per un pubblico formato prevalentemente da emigrate e emigrati di origine italiana, il programma della Radiotelevisione Svizzera in lingua italiana (RSI, ma che allora si chiamava TSI) è nato dalla collaborazione elvetica con la rete ammiraglia italiana RAI ed è andato in onda per 25 anni, fino al 1989. Lo scopo era quello di mantenere un legame con la terra d’origine e, allo stesso tempo, di avviare un processo d’integrazione nel Paese ospitante.
Questi momenti di aggregazione spesso venivano poi ampliati e sviluppati nei posti di lavoro oppure in luoghi ricreativi. Penso in particolar modo ad alcuni locali pubblici a Zurigo, a Losanna o a Berna che poi sono diventati significativi in questo contesto culturale. Oggi evidentemente tutto questo è ancora più facile perché vi è una diffusione maggiore: il film di Paola Cortellesi che ha avuto successo anche nelle sale cinematografiche svizzere può essere guardato anche a casa propria”.
Un concetto mutevole di identità
Si può quindi restare legati alle proprie origini grazie alle comunità di riferimento, ma ci si può anche distanziare nella misura in cui queste dovessero diventare un limite all’integrazione o allo scambio con il resto della società. “È ciò che succede tipicamente con le seconde e le terze generazioni di immigrati”, spiega ancora Aldo Bertagni.
“A queste ultime non basta più essere inglobate nei circoli e nelle realtà legate unicamente alla comunità di origine, perché la loro identità è ben più complessa di così. È come un fiume che scorre portando traccia, dentro di sé, di ciò è stato ma che a mano a mano che defluisce, evolve e muta”.
Si tratta, conclude l’esperto, di trovare delle vie che non siano totalizzanti: né di isolamento linguistico, né di assimilazione totale. Perché nessuna delle due rispecchierebbe la società reale. Per farlo, “bisognerebbe lavorare su una promozione linguistica meno legata all’identità nazionale e più ragionata sull’identità culturale nella sua complessità. Cosicché se ne possano monitorare i cambiamenti e non restare indietro”.
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