Quali sono i limiti al diritto di protesta in uno stato democratico?
Blocchi stradali, occupazioni e imbrattamento di opere d'arte: le azioni delle attiviste e degli attivisti climatici hanno sollevato un dibattito sui limiti della legittimità delle proteste, in Svizzera e altrove. La giustizia per ora è stata indulgente. Deve esserlo?
Di recente una decina di persone si è riunita in una stanza a Zurigo per pianificare un crimine. Il piano prevedeva fare irruzione in un negozio di fai-da-te nelle prime ore del mattino per “prendere in prestito” alcuni attrezzi, guidare fino alla Paradeplatz – il cuore dell’industria finanziaria svizzera – per poi sfondare il pavimento con un martello pneumatico e piantare un albero. Infine, i responsabili avrebbero accolto gli impiegati in arrivo alla vicina UBS dando loro volantini informativi sul cambiamento climatico e su come la finanza contribuisca ad alimentarlo.
L’operazione era ambiziosa. E non sarebbe mai avvenuta: gli aspiranti cospiratori e cospiratrici stavano partecipando a un laboratorio sulla “disobbedienza civile non-violenta” nell’ambito di una conferenza del think tank di sinistra Denknetz. L’obiettivo del laboratorio, moderato da un attivista di Extinction Rebellion e Debt for Climate, era mostrare il tipo di considerazioni necessarie per pianificare un’operazione del genere. Chi si metterà alla guida? Come calmare i pendolari incolleriti? Siete pronti a gestire l’ottovolante emotivo che si prova infrangendo la legge?
E soprattutto, ha chiesto il moderatore, siete pronti ad affrontare le conseguenze?
In effetti, di fronte all’aumento di atti di disobbedienza civile per il clima degli ultimi anni, la polizia e i tribunali hanno risposto a tono. Secondo un rapporto pubblicatoCollegamento esterno a settembre dal gruppo Climate Rights International (CRI), in otto democrazie occidentali – Australia, Francia, Germania, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Regno Unito, Stati Uniti e Svezia – la risposta delle autorità a questo tipo di protesta è stata spesso “sproporzionata”. Un rapportoCollegamento esterno delle Nazioni Unite pubblicato a inizio anno è giunto alle stesse conclusioni.
Problemi giudiziari
Linda Lakhdhir, direttrice legale di CRI, spiega che le autorità possono rispondere in vari modi. A volte, afferma, la polizia ha usato una forza eccessiva per disperdere le proteste e arrestare gli attivisti e le attiviste, ma senza che questo portasse a procedimenti giudiziari gravi. In altri casi, come in Germania, le organizzazioni di attivisti sono state colpite direttamente; in alcune parti del Paese il gruppo “Ultima Generazione” è stato riconosciuto come un’organizzazione criminale.
Lakhdhir aggiunge che alcuni Paesi hanno approvato nuove leggi che prevedono pene molto severe per le attività di protesta. La scorsa estate, nel Regno Unito, un attivista è stato condannato a cinque anni per aver pianificato un blocco autostradale – una sentenza “senza precedenti” nella storia dei processi legati al clima, scrive il gruppo CRI. Lakhdhir racconta che l’entità della repressione documentata dal rapporto ha sorpreso persino lei, soprattutto considerando che i Paesi inclusi nello studio sono democrazie tradizionalmente ritenute un modello per il rispetto dei diritti umani.
Diritti umani contro diritto penale
Negli ultimi anni in Svizzera i casi di disobbedienza civile si sono moltiplicati, da blocchi autostradali a una partita di tennis improvvisata in una filiale Credit Suisse. Anche se i tribunali svizzeri non sono stati severi come quelli del Regno Unito, il movente di una crisi climatica globale non è sempre stato garanzia di indulgenza. Invece di considerare la minaccia del cambiamento climatico o la libertà di associazione come attenuanti, i tribunali hanno solitamente trattato queste vicende come casi penali ordinari, emerge in uno studio del 2023 delle università di Berna e Losanna.
Secondo Clémence Demay, coautrice dello studio, questo dipende soprattutto dal fatto che spesso i e le giudici svizzeri non sono consapevoli o interessati alla dinamica tra diritto penale e legge sui diritti umani. La Corte Europea dei Diritti Umani, spiega Demay, ha affermato in diverse occasioni che le azioni non-violente possono essere giustificate sulla base del diritto alla libera associazione e di espressione. Ma i magistrati e le magistrate svizzeri, che spesso sono specializzati in una sola branca del diritto, “non sono abituati a prendere in considerazione anche i diritti umani”.
Per gli attivisti e le attiviste questo comportamento da parte dei giudici non ha comportato pene detentive – salvo in rari casi – ma ha comunque portato a multe e a precedenti penali.
Graeme Hayes, professore di sociologia presso l’Università di Aston, in Inghilterra, afferma che nel Regno Unito il divario tra il rispetto per i diritti umani e le condanne penali emanate è ancora più ampio. Hayes, che si occupa di questo tipo di casi da oltre dieci anni, sostiene che ci sia stata una progressiva “erosione” delle tutele legali per i manifestanti non violenti. L’accusa di “disturbo della quiete pubblica” è stata utilizzata sempre più spesso dalla magistratura per condannare gli attivisti, una pratica che in passato era poco comune. I tribunali hanno anche ampliato la definizione di manifestazione “problematica” o “violenta”. A settembre due attiviste che avevano lanciato della zuppa contro un dipinto di Van Gogh sono state condannate al carcere per “danneggiamento di opera d’arte”, anche se il dipinto era rimasto intatto.
Secondo Hayes, questi sviluppi normativi – che si basano su leggi governative – permettono ai tribunali di aggirare una difesa basata sulla libertà di espressione, facilitando così l’emanazione di sentenze più severe. Il fatto che oggi manifestanti non-violenti vengano incarcerati rappresenta un “enorme cambiamento”, aggiunge.
Quanto alle cause, Hayes sostiene che si tratti di una risposta diretta sia al movimento climatico che ad altri movimenti dirompenti come Black Lives Matter. Fa anche parte di un tentativo di “restringere lo spazio democratico” come strategia per soffocare le proteste, sostiene Hayes.
Disobbedienza civile: un concetto dibattuto
Ma cosa si intende per disobbedienza civile? Oltre al fatto che debba essere non violenta, c’è poco consenso su che cosa, di preciso, la renda legittima. Dal saggio di Henry ThoreauCollegamento esterno del 1849 contro un governo oppressivo, alla visione di Hannah ArendtCollegamento esterno della disobbedienza civile come forma di azione collettiva, c’è ampio spazio per interpretazioni diverse.
Ad esempio: i manifestanti contro le misure anti-Covid stavano praticando disobbedienza civile? Durante la pandemia, alle frequenti manifestazioni contro le misure del governo partecipavano persone disposte a usare ogni mezzo possibile per fermare uno sviluppo politico che percepivano come autoritario. Alcuni volevano semplicemente evitare di vaccinarsi, mentre altri si opponevano all’introduzione e alle conseguenze di un sistema di certificazione basato sui vaccini.
Secondo Demay, la distinzione chiave sta negli interessi che motivano l’azione, che possono essere personali – con l’obiettivo di avvantaggiare la persona singola o il suo gruppo di appartenenza – oppure più ampi, volti a cambiare una legge o una situazione percepita come ingiusta. Tuttavia, “il limite è molto politico ed è anche strumentalizzato da diversi gruppi”, aggiunge.
Questa tensione è evidente anche nei dibattiti pubblici. Sondaggi, titoli di giornale e commenti online mostrano che non tutti sono entusiasti di vedersi bloccato il tragitto per andare a lavoro da attivisti e attiviste incollati alla strada. Lo scorso anno in Germania un camionista furioso ha reagito violentemente contro gli attivisti, rischiando di investirli. In Francia, il termine “eco-terroristi” è stato usato (anche dal ministro dell’Interno) per riferirsi agli ambientalisti che si sono scontrati con la polizia.
Anche in Svizzera i politici hanno poca simpatia per i e le manifestanti. La destra parla di comportamenti “antidemocratici” o “antisociali”, ma persino i Verdi hanno cercato di prendere le distanze dalle proteste più accese.
Non avete già abbastanza diritti?
In Svizzera il sistema di democrazia diretta sembra rendere la questione ancora più complicata. Uno degli argomenti usati più spesso contro la disobbedienza civile, anche da alcuni giudici, è proprio il fatto che i cittadini e le cittadine svizzeri possono promuovere iniziative popolari e referendum. Perché non raccogliere firme invece di incollarsi alla strada?
La risposta degli attivisti è che non è così semplice. Prima di tutto, sostengono, le istituzioni si muovono troppo lentamente per far fronte alla crisi climatica, che ormai è un’emergenza. In secondo luogo, gli elettori – per non parlare del Parlamento – non sempre si schierano a favore del clima.
Demay, da parte sua, ritiene che questa idea di accesso alla democrazia sia una “finzione”. La Svizzera offre una vasta gamma di opzioni partecipative, afferma. Ma non tutti vi hanno uguale accesso, per fattori economici e per il ruolo dei gruppi di interesse. Per questo motivo, aggiunge, “la disobbedienza civile può agire come estensione del diritto di manifestare, che è sempre stato il diritto più accessibile per chi non può partecipare alla politica istituzionale”. In sintesi: “la democrazia non è perfetta, ma la disobbedienza civile può contribuire a migliorarla”.
Il futuro dell’attivismo per il clima
Demay ritiene che in Svizzera, forse, sia in atto un cambiamento. Non ha dati aggiornati sull’ultimo anno, ma di recente ha osservato diverse assoluzioni con argomentazioni legate ai diritti umani. I resoconti dei tribunali mostrano che alcuni giudici sono perlomeno disposti a discutere di cambiamento climatico, anche se non abbastanza da ritirare le accuse. Altri casi sono ancora in attesa di appello, compreso quello presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, dove, secondo Demay, gli attivisti del tennis di Losanna hanno “concrete possibilità di vincere”.
Lakhdhir del CRI è più cauta per quanto riguarda la situazione in altri Paesi. L’unica tendenza significativa che riesce a individuare al momento è quella di “incoerenza”. Spesso gli attivisti e le attiviste per il clima vengono condannati da un tribunale solo per poi essere assolti da un altro, o viceversa. Cita il caso di un uomo di 65 anni che in Germania è stato condannato a quasi due anni di carcere per aver partecipato a un blocco stradale, nonostante fosse stato assolto in precedenza per una protesta simile.
Nel frattempo, gli attivisti stessi non sono particolarmente ottimisti. Oltre a un generale calo di attenzione per quanto riguarda il movimento climatico negli ultimi anni, molti dicono che la reazione dello stato ha avuto un “effetto intimidatorio” – si temono le conseguenze fisiche o psicologiche di una risposta dura di polizia e magistratura. Se questo scoraggi davvero la disobbedienza civile, però, è oggetto di dibattito. Alcuni ritengono che una risposta dura delle autorità possa, al contrario, alimentare una reazione ancora più estrema. La strategia della disobbedienza civile prosegue, perlomeno in Svizzera, e secondo il gruppo Act Now, responsabile di blocchi autostradali, non scomparirà tanto presto.
Articolo a cura di Mark Livingston e Benjamin von Wyl/ts
Traduzione di Vittoria Vardanega
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